(fonte: Newsletter "“Sicurezza sul lavoro - Know Your Rights!” n.149 del 18/02/14 - Marco Spezia <sp-mail @ libero.it>)

 

DA BERNARDINO RAMAZZINI AI GIORNI NOSTRI: VIAGGIO NEL MONDO DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

 

di Pierluigi Di Tommaso

 

Che “il lavoro arrechi danno a chi lo pratica” è una teoria molto diffusa che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Basta leggere alcuni scritti provenienti dalle antiche civiltà cinesi, arabe, ebraiche, greche o romane, che la storia ha conservato fino ai giorni nostri, per capire come (nonostante la medicina non fosse così sviluppata) si cercasse di indagare e stabilire quel nesso di causalità tra le diverse attività lavorative e le ancor più svariate forme patologiche ad esse correlate.

Addirittura, ancor prima che si conoscesse la patologia cancerogena, si notò una certa correlazione tra il lavoro degli spazzacamini, impiegati in una costante, prolungata e dannosa attività a contatto con la fuliggine, e il tumore allo scroto che si manifestava più frequentemente in essi che in altre categorie.

Importanti a tal proposito sono le testimonianze di Paracelso, nel XVI secolo, che dedica gran parte dei suoi studi alla condizione degli operai presenti nei contesti minerari tedeschi e le osservazioni di Mantegazza del XIX secolo sul lavoro di filanda svolto dai lavoratori italiani.

E’ però tra il ‘600 e il ‘700, nel periodo che gli storici hanno definito l’età ramazziniana, che si nota un sensibile cambio di rotta grazie agli studi condotti dal medico Bernardino Ramazzini. Nell’opera “De Morbis Artificum Diatriba” (Discussione sulle malattie dei lavoratori), lo scrittore italiano, padre della moderna medicina del lavoro, parla per la prima volta di prevenzione arricchendo l’anamnesi del paziente attraverso la domanda “Quem artem excerces?” (Che lavoro svolgi?) e interessandosi delle diverse patologie, tenendo conto del tipo di mestiere, del sesso e dell’età del soggetto, promulgando l’importanza dei fattori aria pura, luce e pulizia quali antidoti a esalazioni, miasmi, sudiciume e inquinamento.

Ramazzini asserì, in chiave di stretta attualità e ispirandosi con lungimiranza al principio “Longe praestantius prevenire quam lenire” (E’ più efficace, nel lungo termine, prevenire piuttosto che curare), l’importanza del sopralluogo periodico negli ambienti di lavoro per la corretta e tempestiva diagnosi di molte malattie evitabili. Si assistette quindi a una rivalutazione del termine lavoro: non è il lavoro dannoso per l’individuo, sono le scorrette modalità di svolgimento di determinate prestazioni a essere pericolose per l’incolumità di colui che si ritrova ad adempiere ai suoi obblighi in un clima di precarietà e assenza di tutele.

 

QUALI SONO LE CONDIZIONI DELLE MASSE LAVORATRICI TRA L’800 E IL ‘900?

Ci troviamo in un contesto storico particolare, proiettati verso la Seconda Rivoluzione Industriale che farà della Francia, dell’Inghilterra e della Germania le Nazioni più potenti al mondo.

Gravi però sono le condizioni degli operai costretti a vivere in condizioni di marcato disagio:

-         scarso apporto alimentare

-         assenza di sicurezza e igiene

-         piaga del lavoro minorile e delle donne

Si lavora tanto, si mangia poco, quel poco che si mangia è cibo di scarsa qualità: basta leggere le inchieste parlamentari italiane condotte da Sonnino per osservare che “Il pane bianco è un lusso che in pochi possono permettersi. Si sopravvive con quel poco che i piccoli e super-sfruttati appezzamenti di terreno offrono alle povere e numerose famiglie italiane”.

I lavoratori europei frequentano contesti lavorativi precari dov’è pesante l’assenza di quelli che oggi definiamo DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e DPC (Dispositivi di Protezione Collettivi). Non c’è spazio per la cultura della sicurezza; le elite imprenditoriali, dinamiche ed intraprendenti, sono saldamente ancorate alla logica del profitto: il potere è concentrato nelle mani di pochi, il malessere in quelle di molti.

Nei vari contesti lavorativi europei, soprattutto nell’industria pesante metallurgica e siderurgica, perni di sviluppo produttivo-occupazionale, nonché nell’attività di miniera, in un ecosistema sociale sorretto dai fragili pilastri dell’analfabetismo diffuso e della miseria, il contributo versato dai fanciulli e dalle donne (molte delle quali gestanti) scrive una delle pagine più tristi e dolorose della storia.

I bambini, soprattutto quelli di più esile corporatura, vengono “arruolati” nel lavoro delle miniere per estrarre carbone da “un buio all’altro” (secondo un diffuso detto popolare di allora usato per indicare la durata dell’attività svolta dalle prime luci del giorno alle tarde ore delle notte). Dalla potente Inghilterra abbiamo la fotografia dei bambini sporchi, “affamati”, dal cranio e dalle braccia più sviluppate rispetto al resto del corpo che mostravano i segni della povertà e delle violenze taciute.

Bisognerà aspettare i primi provvedimenti della Germania di Bismarck in materia di normative per l’assicurazione dei lavoratori e per regolamentare alcuni lavori particolarmente pericolosi, quali ad esempio, quello delle lavoratrici madri e dei bambini.

Nel 1882 parte il colossale progetto di costruzione del traforo del San Gottardo. A causa delle malsane condizioni di lavoro degli operai impiegati, dieci mila di questi si ammalano di anemia da anchilostoma, 300 incontreranno la morte: il traforo fu definito una necropoli.

All’opinione pubblica indignata si mostra, in tutta la sua drammatica evidenza, il nesso casuale tra ambiente di lavoro e insorgenza di malattie; forte è la necessità sociale di una medicina che tutelasse specificatamente i lavoratori.

 

CONDIZIONE ITALIANA

Terminato il primo conflitto mondiale, la Medicina del Lavoro italiana sposta il suo focus verso il lavoro in fabbrica.

Tra gli anni ‘20 e ‘40, i programmi di industrializzazione propugnati dal regime fascista fanno dell’Italia “il Paese delle migrazioni interne”. Una massiccia fetta di popolazione abbandona le campagne (ci si cerca di scrollare di dosso la vita rurale), tra speranze e lacrime si lascia la propria terra per dirigersi al Nord che negli anni dell’età giolittiana ha conosciuto una fase di profondo sviluppo (pensiamo al triangolo industriale Milano-Genova-Torino). Le città sono sempre più affollate, tra i fumi e le polveri immesse nell’atmosfera, il problema dell’inquinamento diventa sempre più insistente.

E’ in questi anni che, grazie ai notevoli e cospicui finanziamenti dello Stato, nascono la Fiat, la Olivetti, l’acciaieria di Bagnoli presso Napoli e l’ILVA di Taranto, oggi portata alla ribalta dai media nazionali per il suo impatto ambientale (inquinamento tossicologico industriale).

E’ proprio a Milano che nasce nei primi del ‘900 la prima Clinica del Lavoro fondata da Luigi Devoto. Di lì a poco nasceranno l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), l’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie) e l’ENPI (Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni: struttura nazionale per la propaganda igienica a favore dei lavoratori).

A Napoli, qualche anno dopo, in seguito al 7° Congresso Nazionale, nasce la Società Nazionale di Medicina del Lavoro che successivamente accorperà l’Igiene Industriale, denominandosi SIMLII.

Nel 1927 viene promulgata la Carta del Lavoro che regolamentava all’articolo 23:

-         la previdenza e l’assistenza pubblica;

-         l’assicurazione per gli infortuni e le malattie professionali;

-         l’assicurazione per la disoccupazione involontaria (tutto questo era impensabile fino a qualche anno prima: chi pensava di assentarsi dal lavoro anche solo per un giorno, perché impossibilitato fisicamente, veniva immediatamente licenziato dal padrone senza nessuna tutela e/o garanzia; dietro quel posto di lavoro perso c’erano centinaia di giovani e padri di famiglia pronti ad essere assunti manodopera a basso prezzo per assunzioni low cost).

Negli ‘50 e nei successivi, da parte dell’ILO (International Labour Office, con sede a Ginevra), vengono emanati i seguenti provvedimenti:

-         Raccomandazione 112 (24 giugno 1959): strumento operativo per la tutela della salute negli ambienti di lavoro, che ha come obiettivo principale quello di istituire un “Servizio di Medicina del Lavoro” gestito da un medico competente e che abbia compiti di natura diagnostica, curativa, ma soprattutto preventiva;

-         Raccomandazione 171 e Convenzione 161 (in occasione del 70° e 71° Congresso dell’ILO del 1984-1985), in cui si ribadisce: l’importanza della salubrità dell’ambiente di lavoro (e questo perché ambiente salubre significa ambiente a prova d’uomo che tuteli l’integrità del soggetto lavoratore) e l’importanza di un medico competente che, insieme alle altre figure specializzate presenti negli ambienti di lavoro, studi e proponga modelli organizzativi alternativi tali da non alterare il delicato equilibrio lavoro-salute.

Qualche anno prima, nel 1950, il Comitato ILO-OMS ribadiva la necessità non più rinviabile della medicina del lavoro quale scienza che aveva il compito di “promuovere il più alto grado di benessere dei lavoratori in tutte le attività”.

 

DALL’EUROPA ALL’ITALIA: L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO NEL BEL PAESE.

Durante il regime fascista, con il Codice Rocco, pesa l’assenza dello Stato sulle tematiche della sicurezza negli ambienti di lavoro. Non c’è ancora un rapporto interdisciplinare con il tema della prevenzione, ci si limita ad intervenire solo nel momento in cui si verifica l’incidente punendo chi di dovere.

A proposito del diritto penale ricordiamo gli articoli:

-         437 e 451: omissione dolosa e colposa di cautele atte a evitare incidenti;

-         589 e 590: omicidio colposo e lesioni personali colpose.

Terminato il secondo conflitto mondiale, il primo gennaio del 1948 ecco emanata la Costituzione con i suoi 139 articoli e le 18 disposizioni, in cui si ribadiscono i principali e inviolabili diritti dell’uomo-cittadino.

Importanti sono:

-         articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”;

-         articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”;

-         articolo 41: “Fa obbligo garantire all’imprenditore di svolgere la propria iniziativa privata non in contrasto con l’interesse e la salute della collettività”.

Oltre alla Costituzione, le attuali normative vigenti in materia di sicurezza nei contesti di lavoro discendono dal Codice Civile e dal Codice Penale.

Il Codice Civile implica il risarcimento del danno alla parte offesa in sede civile (articolo 2050). Importante è poi l’articolo 2087, presente in una sezione specifica del Codice Civile, quale il Diritto del Lavoro, che pone obbligo all’imprenditore (oggi conosciuto come datore di lavoro) di adottare, nell’esercizio dell’attività di impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esercizio e la tecnica, sono necessarie per “tutelare l’integrità fisica, psicologica e la personalità morale del lavoratore”.

Definito dal legislatore come il “male necessario”, il diritto penale, dotato di massima afflittività, è un’arma a doppio taglio:

-         l’individuo che commette reato (o illecito penale) va a calpestare un diritto inviolabile, meritevole di attenzione;

-         il legislatore punisce il soggetto (autore del reato) attaccando un suo diritto inviolabile, la libertà, attraverso la pena detentiva, il carcere.

La sicurezza sul lavoro rientra nel diritto penale.

L’illecito penale è costituito da:

delitti: sono considerati i reati più gravi (ad esempio la morte del lavoratore), i cosiddetti reati di danno, e quindi puniti con maggior severità;

contravvenzioni: reati di pericolo o di mera creazione legislativa, reati meno gravi (ad esempio la mancata elaborazione del documento di valutazione del rischio).

L’attenzione si sposta verso le materie prevenzionistico-cautelari.

 

ANNI ‘50: GLI ANNI DELLE “GRANDI LEGGI”

In questi anni vengono emanati:

-         D.P.R. 547 del 25 aprile 1955: norme in materia di infortuni sul lavoro

-         D.P.R. 164 del 7 gennaio 1956: norme per la prevenzione degli infortuni nelle costruzioni

-         D.P.R. 303 del 19 marzo 1956: norme in materia di igiene sul lavoro

In questi anni inoltre, grazie a concorsi banditi a livello regionale, nasce la figura dell’ Ispettorato del Lavoro che ha il compito di verificare il rispetto delle norme.

 

ANNI ‘70: GLI ANNI “FIGLI DEL ‘68”

Alla fine dei vivaci anni ‘60, le piazze italiane sono animate da sindacati, operai, medici e studenti democratici.

Nasce il “modello operaio” che andrà ad incastonarsi in tre concetti molto chiari:

-         la “non delega”: le masse lavoratrici non vogliono più dare ad altri (vertici aziendali, tecnici, ecc.) la facoltà di decidere il loro destino lavorativo;

-         la “validazione consensuale”: le decisioni dei vertici aziendali devono essere valutate insieme ai lavoratori e alle rispettive rappresentanze;

-         la “non monetizzazione del rischio”: si esprime il rifiuto di accettare denaro in cambio di condizioni di lavoro disagiate e in presenza di fattori di rischio ambientali e occupazionali.

Quest’ultimo modello porterà all’approvazione dello “Statuto dei Lavoratori” con la Legge n.300 del 20 maggio 1970 che va a rivalutare il ruolo del lavoratore.

Di tale legge è bene ricordare l’articolo 9 in materia di tutela della salute e dell’integrità fisica che afferma:

“I lavoratori mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

Qualche anno dopo, con l’approvazione della Legge n.833 del 1978, viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale che nel rispetto del decentramento, sancito dalla Carta Costituzionale, affida alle Regioni maggior competenze sanitarie. Si colloca in questo periodo la nascita dei primi uffici di prevenzione, all’interno delle USL, oggi conosciute come ASL (Aziende Sanitarie Locali).

 

ANNI ‘90: GLI ANNI DEL PRIMO TESTO UNICO

In seguito al recepimento di undici Direttive quadro emanate dall’UE (che nasce per evitare i paradisi penali, nonché per favorire la libera e leale concorrenza economica fra le nazioni membri), ecco approvato in Italia il primo testo unico in materia di Sicurezza sul Lavoro, il D.Lgs.626/94 che assisterà a un riordino della normativa con la Legge Delega n.123 del 2007.

Il recepimento delle Direttive comunitarie porta:

-         alla nascita del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendali, del Medico competente e del Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza;

-         alla responsabilizzazione di tutti i soggetti “immersi” in uno specifico contesto lavorativo: viene meno il rapporto “controllore-controllato”, i lavoratori stessi non sono più meri beneficiari ma artefici della sicurezza, su di essi gravano obblighi e responsabilità;

-         il passaggio dalla presunzione del rischio alla prevenzione del rischio.

La sicurezza non è più un optional aziendale, ma un tassello di qualità dell’organizzazione di un azienda.

Il testo unico permette una conoscenza più diffusa e circolare sul tema della sicurezza e delle normative vigenti, un approccio più diretto al mondo delle leggi, una più facile consultazione.

 

OGGI

Il recepimento di ulteriori Direttive porta all’approvazione del D.Lgs. 81/08.

Si scrive una nuova pagina di storia.

Termina per ora l’intenso viaggio sulla strada della sicurezza.

 

Pierluigi Di Tommaso